giovedì 5 settembre 2013

The conjuring, l’evocazione di classici dell’orrore


E’ stato il caso cinematografico dell’estate americana, costato 20 milioni di dollari ne ha incassati oltre 130 solo negli USA. Cosa c’è dietro un successo del genere?

 
 
 
James Wan è un bravo regista. Non sempre gli riescono genialate come Saw, anzi solo quella gli è riuscita, però inanella una serie di film interessanti e acquista la fama di uno che fa le nozze con i fichi secchi. Pochi soldi di budget si trasformano in manna per i produttori. Quindi tutto nella norma, anche stavolta è andata così. Qual è allora il tocco magico di James Wan? Probabilmente il fatto che riesca a sguazzare nel già visto con un tocco che, al tempo stesso, è personale ma non autoriale. Riesce a prendere vicende risapute, di vendetta o di terrore, rimescola gli ingredienti di modo che la minestra non sembra riscaldata, serve il tutto con una buona dose di tecnica e di ritmo e il gioco è fatto. Lo aveva appena fatto con Insidious (che però non è eccezionale, anzi), lo fa meglio con L’evocazione, che è Insidious più l’Esorcista più una serie di riferimenti a classici dell’orrore, fino addirittura a Gli uccelli
 
 
La storia. Rhode Island, 1971. La tranquilla famiglia Perron, padre madre e cinque figlie, va a vivere in una tranquilla casa inquietante in una tranquilla località sperduta in riva ad un lago.
Tempo di finire il trasloco e, attenzione, la madre si accorge che gli orologi della casa si fermano alle 3,07. E’ solo l’inizio di un incubo fatto di tutto il repertorio del genere, ovvero porte che sbattono, armadi che si aprono da soli, scricchiolii vari, quadri che cadono. Vogliamo metterci anche il classico scantinato di cui tutti ignoravano l’esistenza? Ma sì, dai. E già che ci siamo mettiamoci pure la componente bambina sonnambula (i bambini sono imprescindibilmente morbosi in un horror, no?)
Fine prima parte. A questo punto i nervi della nostra famigliola (e anche di qualche spettatore, ma su questo ci tornerò) sono già saltati. È tempo allora di affidarsi ai servigi dei coniugi Warren, di professione indagatori dell’incubo, a metà strada tra ghostbusters e esorcisti senza patentino vaticano. I due, che tengono conferenze sui loro casi più importanti, accettano di dare un’occhiata. Lei, soprattutto, che ha poteri extrasensoriali. E quello che vedrà non sarà affatto piacevole.
Prima parte: casa infestata con tutti i trucchi del genere.
Seconda parte: l’esorcista con tutti gli ammennicoli.
La fusione di queste due componenti è il film di cui sto scrivendo.
Però la miscela è fatta assai bene. E’ questo che lo eleva sopra la media degli horror analoghi, anche come spaventi.
Un ottimo motivo per aprire la sezione “cinema per non dormire” con questo film, in cui la paura non è tanto (non è solo) fatta di colpi da saltare sulla sedia, che pure ci sono ma senza esagerare, quanto piuttosto è creata dall’atmosfera. E qui è bravo il nostro James Wan, che non si accontenta dei trucchetti ma gira bene, coltiva la tensione, a volte la fa esplodere altre volte si ferma un secondo prima che ci aspettiamo che esploda. Gioca insomma con lo spettatore, gli dice “hai voluto vedere ‘sta roba? Adesso te la bevi tutta”. Ci fa vivere con la famiglia Perron, ci fa partecipi del loro dramma, ci fa girare per la casa insieme agli attori. E quando arriva la resa dei conti con lo spirito maligno, piazza un finale con esorcismo che, per me, è stata la parte davvero inquietante del film. Molto tosta e senza momenti di alleggerimento, come tutto il film fino a quel momento. 

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